Il settore dei rifiuti urbani in Italia richiede ben 8 miliardi di investimenti nei prossimi anni, e saranno finanziati dal programma comunitario: tali fondi saranno necessari principalmente per recuperare tutte le lacune strutturali del Mezzogiorno.
L’incrocio di questi fattori spiega i motivi per cui gli enti e le aziende dell’igiene urbana sono in prima fila fra gli ambiti economici che puntano sul Recovery Plan italiano per tentare di cambiare pagina.
Quando parliamo di rifiuti urbani la politica ambientale riesce sempre a trovare la concretezza tale da poter convincere chiunque: i buchi infrastrutturali costano e la Tari aumenta lì dove il servizio è più scadente.
Il calcolo dei costi medi sopportati da una famiglia-tipo nelle diverse aree del Paese lo spiegano: con tre persone e un appartamento da 100 mq, nel Nord (dove la raccolta differenziata è spesso sopra i livelli Ue) si pagano in media 273 €/annui. Nel Sud (dove ci sono diverse emergenze rifiuti) la stessa famiglia paga 355 €/annui (ben il 30% in più del Nord e il 14,5% sopra la media nazionale).
Le cause di ciò sono facili da individuare e sono legate al trattamento dei rifiuti in ogni regione. Il Nord, che produce annualmente 3,7 milioni di tonnellate di organico, è in grado di trattarne 4,3 milioni. Il Sud invece ne produce poco meno di 2 milioni ma riesce a gestirne solo 1,3 milioni. Ancor peggio nelle città del Centro, dove pesa il dramma romano: 1,4 milioni di tonnellate prodotte, e gestite soltanto 685 mila.
Stesso discorso si affronta per l’indifferenziato. Questo è il principale fattore del “turismo dei rifiuti” che sposta dal Sud al Nord, e addirittura anche all’Estero, le quantità che non si possono gestire in loco. Tutto ciò chiaramente a discapito delle tasche del contribuente, che si vede applicare il più importante principio della Tari, secondo cui “la Tari garantisce la copertura integrale dei costi del servizio”.
(Fonte: Gianni Trovati per il Sole 24 Ore – edizione del 14 ottobre 2020)
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